di Stefania Carlevaro
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Le nuove generazioni la amano, i flexitariani la premiano e anche i carnivori cominciano a essere curiosi. Sì, perché queste polpette e salsicce assomigliano in tutto e per tutto alle altre, anche nel gusto. Ma sono fatte con proteine vegetali. E così bye bye all’inquinamento prodotto dagli allevamenti
La plant meat è il grande trend del momento. Si trova sotto forma di hamburger, cotolette, kebab, straccetti di pollo, salsicce, polpette, ragù, spezzatini: è simile nell’aspetto (e spesso anche nel gusto) alla carne vera e interessa non solo vegetariani e vegani, ma anche i cosiddetti flexitariani che sono onnivori ma tendono a ridurre sostanzialmente le proteine animali nella propria dieta. Ma non finisce qui. Ha trovato una schiera di sostenitori anche nella Gen Z sempre più interessata ad atteggiamenti alimentari rispettosi dell’ambiente.
La finta carne
Chiamata anche plant based o semplicemente fake, la finta carne è ottenuta da proteine vegetali e il motivo per cui coinvolge così tante persone di estrazione e interessi diversi è che è green: non proviene da allevamenti, è comunque ricca di proteine e porta a una riduzione dell’impatto sull’ecosistema.
«I nostri numeri parlano da soli» racconta Marta Residori, marketing & comunications manager Italia per Planted (eatplanted.com), start up svizzera con sede a Kemptthal (Zurigo) che dal 2019 produce alternative vegetali alla carne e conta un reparto di ricerca e sviluppo molto innovativo. «Per il nostro planted chicken utilizziamo il 46% di acqua in meno ed emettiamo il 74% di CO2 in meno rispetto al petto di pollo di allevamento. Possiamo calcolare l’impatto effettivo perché siamo responsabili di tutto il ciclo della produzione, dal seme fino alla distribuzione sugli scaffali e usiamo solo ingredienti europei: quattro in tutto».
I meat alternative disponibili sul mercato
Le proposte si moltiplicano: si possono avere prodotti già ricettati o naturali, da preparare in casa, frozen o freschi. È importante però controllare la lista degli ingredienti in etichetta. I primi meat alternative erano soprattutto a base di soia, ora si utilizzano molto le farine di pisello.
La base parte dalle proteine estratte dai legumi (farine e fibre) che vengono riadattate per avere un aspetto simile alla carne. Poi si aggiungono grassi vegetali, indispensabili per dare morbidezza, come burro di cacao, olio di colza, cocco o girasole o anche industriali (come i mono e digliceridi degli acidi grassi indicati con la sigla E471). La lista degli ingredienti può essere più o meno lunga e comprende altri tipi di farine (come proteine di riso integrale, avena, fagioli mungo).
Nelle versioni già pronte da consumare si aggiungono poi spezie, limone, aromi e spesso barbabietola: conferiscono alla plant meat colore e gusto il più simili possibile a una bistecca, un hamburger o una salsiccia. La sfida naturalmente è la riduzione degli ingredienti, senza perdere la promessa del gusto e del sapore della carne.
Il pesce vegetale
Altri due fattori importanti da considerare sono il valore calorico (in genere più elevato) e il prezzo. Ma i fake non si limitano alle alternative della carne, il nuovo mercato è il pesce con l’arrivo del tonno vegetale e dei bastoncini preparati con i fiocchi di riso.
La prossima grande scommessa sarà la cultured meat, cioè la carne in provetta, prodotta a partire dalle cellule staminali del tessuto muscolare dei bovini e nutrite in laboratorio per moltiplicarle con gli stessi mangimi utilizzati per gli animali. In poche settimane la carne sintetica è pronta e basta darle l’aspetto di quella vera.
Sarà questo il futuro della green meat? Per ora il processo è ancora in fase di studio perché lungo e costoso. E poi mancano ancora le autorizzazioni dell’organismo Ue per la sicurezza alimentare.